L’aria che tira

“L’aria che tira. Noi e i nostri soldi in tempo di crisi” questo libro di di Myrta Merlino (Sperling e Kupfer, prefazione di Gianni Stella).

Trae spunto dall’omonima trasmissione di La7 condotta dall’autrice, dà voce a centinaia di cittadini, interpretando ansie e speranze e offre una serie di approfondimenti sui temi economici che toccano la maggior parte degli italiani. Dalla spesa alla recessione, fino ai mutui e risparmi a rischio. Si parla anche di lavoro che c’è e di quello che manca, di evasione e pensioni. Il primo capitolo “Evasori e tartassati” si apre con la lettera di Eugenio, ex falegname che per dodici anni ha lottato contro un errore di Equitalia.

Non conoscevo questo programma finchè non ho acquistato il libro, ho visto qualche puntata, ma ragazzi che depressione! A volte se senti tutte queste cose (che sono la verità purtroppo) ti vien voglia di scappare a gambe levate dal nostro paese!

Ha confermato l’idea che mi ero fatta negli ultimi anni che la classe media si stà assottigliando trasformandosi in nuovi ricchi (pochi) e nuovi poveri (purtroppo sempre di più) le categorie più a rischio sono: gli over 50, i pensionati, i giovani, le donne, quelli con basso titolo di studio, gli straniere … rimane fuori qualcuno? Neanche a dirlo soprattutto se si ha la “fortuna” di essere nati al sud si parte ancora più svantaggiati.

Siamo il paese con maggior evasori fiscali dopo la Grecia e con diversi tristi primati di questo tipo tra cui un debito pubblico catastrofico che non accenna a diminuire, e una pressione fiscale a cui non corrisponde un buon servizio reso all’utente.

Ecco una delle lettere che sono arrivate alla redazione di Myrta Merlino:

 

“Se lo stato non paga”

 

Cara Myrta,

 

mi chiamo Eugenio e sono un ex falegname di Torino. Sono purtroppo costretto a usare la parola ex perché ho perso tutto: il mio laboratorio e i tre negozi di mobili che con impegno e fatica la mia famiglia amministrava da generazioni. Il mio incubo è iniziato nel 1999 con la morte di mio padre, a seguito della quale ho consultato un commercialista per effettuare un condono tombale sulla nostra attività. Poiché ne divenivo il proprietario dopo decenni di servizio, non volevo ereditare assieme a essa anche qualche vecchio debito con l’Agenzia delle Entrate.

 

Da un grave lutto famigliare ho voluto trovare un nuovo inizio, facendo pulizia e ricominciando a lavorare sodo sul futuro della mia famiglia nella legalità. Non appena mi è stata comunicata l’entità del condono l’ho pagato in un’unica rata e sono tornato a godermi la mia falegnameria; ma pochi mesi più tardi Equitalia mi ha contattato comunicandomi che il condono non era stato eseguito in maniera corretta e che pertanto sarebbe stato invalidato. Ho subito denunciato il commercialista a cui mi ero rivolto per scarsa perizia ma lui ha sempre sostenuto di aver svolto bene il suo lavoro.

 

Mi sono rivolto dunque a una trentina di commercialisti e avvocati, ma tutti i professionisti hanno confermato che il condono era stato effettuato correttamente. Questa operazione mi è costata 75.000 euro, dodici anni della mia vita e pesanti crisi depressive che hanno coinvolto me e i miei parenti più cari, portandomi alla dipendenza da psicofarmaci e a un urgente trapianto di fegato. I miei conti correnti sono stati pignorati, le case e i mobili ipotecati. Pezzo dopo pezzo, la mia vita è stata distrutta. Ora, dopo anni di tribunale, la Cassazione finalmente mi ha dato ragione: Equitalia ha dovuto riconoscere di aver commesso uno sbaglio all’epoca dell’archiviazione della mia pratica e mi ha inviato i provvedimenti di annullamento per tutte le cartelle esattoriali emesse. Oggi mi rivolgo a Lei in cerca di sostegno nel divulgare la mia storia: sento la necessità di lanciare un appello affinché le sofferenze a cui io e la mia famiglia siamo stati sottoposti non si ripetano. Chiedo a Equitalia e alle altre istituzioni l’assicurazione di controlli più approfonditi e attenti, e di un personale formato in maniera più completa. Nessuno merita di perdere lavoro e salute per una svista.

 

Eugenio

 

La storia di Eugenio non è una fra tante. È la storia delle storie, è il racconto di un uomo che nel suo piccolo ha vissuto e si è fatto carico, con tenacia e coraggio, di molti dei problemi che oggi affliggono il nostro Paese. È per questo che vorrei partire dal vissuto di quest’uomo per raccontarvi la nostra Italia, un’Italia di evasori, sì, ma anche un’Italia di tartassati. Di piccole-medie imprese che scontano l’inefficienza e i disservizi della Pubblica Amministrazione e della Giustizia e di privati cittadini che si ritrovano con le tasche svuotate per ripagare un debito pubblico da record mondiale e uno spread che ci toglie il fiato. Ma cosa c’entra poi lo spread con le tasse che paghiamo e con le «insaziabili» imposte dello Stato?

 

Cerchiamo di capirlo insieme, perché è così che la drammatica storia di Eugenio comincia a Torino e finisce, o quasi, negli studi del nostro programma a Roma, dove a ottobre dello scorso anno, dopo aver ricevuto la lettera che avete letto, ci siamo conosciuti di persona. L’incontro non è stato dei più semplici, perché accanto a Eugenio, quel giorno, sedeva l’uomo che rappresenta l’istituzione che per dodici lunghi anni ha ritenuto responsabile delle proprie sciagure. Quell’uomo si chiama Attilio Befera ed è il presidente di Equitalia, l’agenzia che bussa alla porta dei cittadini per riscuotere le tasse non pagate. Il problema, a ogni modo, è che Eugenio non è solo in questa tempesta.

 

Il Paese è pieno di storie come la sua, di artigiani e piccole-medie imprese che si trovano in crisi e hanno difficoltà a pagare il Fisco. E in questi casi, purtroppo, incontrano uno Stato poco comprensivo che, oltre a pretendere il pagamento immediato, applica sovrattasse e interessi proibitivi quando non si riesce a pagare immediatamente. Non si capisce allora perché lo Stato applichi due pesi e due misure. E già, perché lo Stato ha un debito enorme con le imprese, che ammonta ormai a 100 miliardi di euro. Un debito che, nel febbraio 2009, la presidente di Confindustria Emma Marcegaglia ha definito «una vergogna nazionale». Da allora sono passati quasi tre anni e la frase continua a essere estremamente attuale, e non solo: mentre l’economia ha cominciato a colare a picco, quel debito ha continuato a crescere…

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