La maternità può attendere

Questo libro recensito da me, che mi spaccio per una Supermamma può sembrare strano, invece anche io ho aspettato e anche io ho avuto i miei momenti di dubbio prima di diventare mamma. Ne è la prova il fatto che con Superdaddy l’anno prossimo festeggeremo i nostri 20 anni insieme, e First ha solo 7 anni, a volte lo prendo in giro gli dico: “mi hai presa giovane e mi hai fatto fare la mamma vecchia!” da ragazza trent’anni mi sembravano un’eternità, ho sempre desiderato essere una mamma giovane ma nonostante fossi sposata e vivessi un rapporto più che rodato il coraggio di fare il grande salto non arrivava. Perché lo sapevo bene che un figlio è per sempre altro che diamanti!

Poi adesso che la gioventù si è (fintamente allungata) sembra che c’è sempre tempo, prima si deve finire l’università, poi si deve trovare lavoro e poi c’è il matrimonio, il mutuo (o  l’affitto) per la casa, i soldi che son pochi e la voglia di viaggiare e di sperimentare è tanta. Praticamente  il momento giusto può non arrivare mai oppure se siete pronti voi potrebbe essere il bimbo a farsi attendere, “ho aspettato io, adesso aspettate voi!” vi dirà!

La trama:

«A vent’anni pensavo vagamente di volere due figli. Adesso penso che dovrei decidermi per averne almeno uno. Ma il tempo passa e non mi sembra mai il momento»: mentre le stagioni corrono e il limite biologico della fertilità si fa incombente, in molte continuano a ripetere quel «non mi sembra il momento», un vero e proprio leit motiv nelle spiegazioni fornite dalle donne (una su cinque in Italia) che rinunciano a fare figli.

Elena Rosci, psicoterapeuta da sempre attenta alle tematiche femminili, cerca di individuare non solo le cause più banalmente «pratiche», ma anche le ragioni profonde che spingono un numero così elevato di donne a rifiutare la maternità. E lo fa lasciando ampio spazio alle loro voci – qualcuna polemica, qualcun’altra perplessa, dubbiosa, recriminante – in un vivace contrappunto, dove emergono le molte sfaccettature di una scelta che non è quasi mai una presa di posizione ferma e conclamata, quanto piuttosto un rimandare incerto e tentennante, un voglio e non voglio.

Le motivazioni addotte spaziano da quelle di tipo sociale (la precarietà del lavoro, la mancanza di servizi per l’infanzia, l’esigenza di una maggiore mobilità) ad altre di tipo più individuale: l’aspirazione femminile a posizioni paritarie all’interno della coppia in ogni aspetto della vita in comune, il timore di un ruolo che è «per sempre» in una società dove tutto è «per adesso», il narcisismo che dagli anni Settanta pervade la nostra società.

Spesso, poi, il freno è costituito anche dalla paura di non essere all’altezza di quel modello di mamma di stampo ottocentesco che ancora persiste nell’immaginario collettivo, una madre a tutto tondo, generosa e dimentica di se stessa. Modello, questo, non più compatibile con l’educazione e le aspettative delle «ragazze» di oggi, nei progetti delle quali la maternità non deve più tradursi nella rinuncia a se stesse, ma in un felice quanto difficile equilibrio fra le proprie esigenze e quelle del figlio.

Gli ostacoli di ordine pratico potrebbero di fatto essere aggirati con facilità da un sistema di welfare più sensibile, come già avviene nel Nordeuropa, mentre l’aspetto psicologico appare più problematico. Per superarlo, infatti, non esistono «ricette veloci e facili», buone per chiunque, perché il modo di essere madre non è unico e non aderisce quasi mai a un modello prefissato, ma varia in base alla cultura di appartenenza, all’ambiente che ci circonda, al temperamento individuale, oltre che alle esperienze vissute da ogni singola donna.

Ed è proprio accantonando finalmente lo stereotipo della madre tradizionale in favore di una visione più aperta, capace di valorizzare le caratteristiche di indipendenza e realizzazione di sé delle giovani donne di oggi, che diventare madre potrà smettere di essere per molte un inquietante salto nel buio e rappresentare per tutte una scelta davvero libera.

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